RECENSIONE - "L’isola dei fiori rossi" di Alan Brennert

Titolo: L’isola dei fiori rossi
Autrice: Alan Brennert
Editore: Newton Compton Editore
Genere: Narrativa storica
Formato: ebook/cartaceo
Prezzo:  € 0,99 / € 8,40
Data pubblicazione:   marzo 2020
Pagine:   480
Autoconclusivo

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1890. 
La piccola Rachel Kalama vive a Honolulu e fa parte di una grande famiglia hawaiana. Desidera vedere le terre lontane che suo padre, un marinaio mercantile, spesso visita. Ma all’età di sette anni i sogni di Rachel si infrangono: la comparsa di alcune macchie rosate sulla sua pelle indica che ha contratto la lebbra. Portata via da casa e dalla sua famiglia, viene mandata in quarantena sull’isola di Moloka‘i, dove si trova il lebbrosario e dove la sua vita sarebbe destinata a finire. E invece, sebbene costellata di ostacoli e prove difficili da superare, la comunità che si è creata è ricca di personaggi straordinari: c’è tanta vita anche tra i più disperati ed è un miracolo scoprire che la speranza e l’amore fioriscono nei luoghi più desolati. Un romanzo meraviglioso ispirato alla vera storia dell’isola di Moloka‘i, alle Hawaii, dove per cento anni è stato deportato chiunque avesse manifestato i primi segni della lebbra. Ricco di personaggi pronti a saltare fuori dalla pagina, L’isola dei fiori rossi è la meravigliosa e straziante avventura di tutti coloro che hanno deciso di abbracciare la vita pur essendo stati condannati. Un racconto che, con il calore, l’umorismo e la compassione che porta con sé, ha già incantato e commosso oltre mezzo milione di lettori.


Alan Brennert, classe 1954, cresciuto nel New Jersey e trasferitosi nel 1973 in California, è un autore di romanzi storici di successo statunitense. Nel 2009 uno dei suoi romanzi è stato indicato dal Washington Post come uno dei migliori pubblicati. L’Isola dei fiori rossi ha vinto il Bookies Award nel 2006. È anche un produttore e sceneggiatore cinematografico e tra i tanti riconoscimenti nel 1991 ha vinto il Premio Emmy per la produzione e la sceneggiatura della serie televisiva Avvocati a Los Angeles.

Buongiorno lettori, oggi vi parlo di L’isola dei fiori rossi, un romanzo di Alan Brennert che vi coinvolgerà emotivamente sotto più aspetti.
Come sempre parto dalla cover. La giovane raffigurata con un grosso fiore rosso tra i capelli dà l’impressione che sia una ragazza pronta per andare a una festa etnica. Non corrisponde alla bellezza hawaiana, ma secondo me rende tutto il romanzo. L’atteggiamento serioso e quasi teso della ragazza mi riporta all’emozione che si prova prima di aprire la porta e uscire per un ballo tanto desiderato, a testimonianza che si può vivere la propria vita con la determinazione che hanno i giovani di godersi appieno ogni istante di quanto è loro concesso. 

La storia si svolge a Moloka’i, una delle isole dell’arcipelago delle Hawaii, in un periodo che va dal 1890 al 1970 e prende spunto dalla storia vera dell’isola. Come indicato a fine romanzo dall’autore stesso, infatti, personaggi inventati si incrociano con quelli realmente esistiti.
La protagonista è Rachel, la più piccola di casa, una bambina che vive serenamente a Honolulu con i genitori e i suoi tre fratelli, Ben, James detto Kimo e Sarah. Almeno finché non le viene scoperta la lebbra. Ha appena sette anni quando è strappata alla sua famiglia.

NEGLI ANNI SEGUENTI RACHEL AVREBBE CUSTODITO GELOSAMENTE IL RICORDO DI QUELL’ULTIMO CONTATTO. NON AVREBBE MAI DIMENTICATO IL TEPORE DELLA PELLE DELLA MADRE, IL MODO IN CUI LE SUE GRANDI DITA SI ERANO QUASI DISCHIUSE SULLE SUE. E L’AMORE DISPERATO SCOLPITO SUL SUO VOLTO MENTRE LE STRAPPAVANO LA SUA BAMBINA.

La storia della protagonista si sviluppa poi sull’isola di Moloka’i, e precisamente nel villaggio di Kalaupapa. All’epoca era un lebbrosario, da lì non usciva quasi nessuno e chi vi andava, anche se con uno stadio della malattia appena accennato, sapeva soltanto che era condannato. Per fortuna la bambina là non sarà proprio sola. 

CHE IMPORTAVA SE AVEVA LA FACCIA BUTTERATA O DELLE ORECCHIE STRAVAGANTI? ERA SEMPRE LO ZIO PONO. E LA TENEVA STRETTA STRETTA. TUTTO IL RESTO NON CONTAVA. DA QUEL MOMENTO IN POI AVREBBE CONTATO SEMPRE MENO.

Rachel non ha lesioni visibili, è bellissima, ma impara da subito che non a tutti è concessa la stessa sorte. Su tutta l’isola, infatti, gli abitanti, destinati a convivere con una malattia così lesiva, cercano di avere una vita normale e naturale, tanto che ci sono negozi e case, non ospedali dove vivere, anche se la malattia divora la carne e la morte si manifesta di continuo.

LA LEBBRA ERA INTRECCIATA AL TESSUTO STESSO DELLA VITA DI TUTTI I GIORNI.

Cresciuta da una madre convertita al cristianesimo e fervida credente, Rachel inizia a conoscere altri aspetti del mondo, tra cui le antiche credenze del suo popolo. Religione e paganesimo si intrecciano in tutto il romanzo e in lei riemerge il desiderio di scoprire le storie di quegli dèi che sembra abbiano dato origine alle Hawaii. Il tempo scorre, tanti eventi accadono nell’arcipelago: l’annessione agli Stati Uniti, l’installazione di un faro, la luce elettrica nelle vie, luoghi di aggregamento, un centro per studiare meglio la lebbra costruito proprio sull’isola, la proiezione di film.
Di amici Rachel ne ha col tempo tantissimi. Alcuni la lasceranno, altri continueranno a sperare con lei che si possano trovare cure per la loro malattia. Ma ci sono ferite più profonde nell’animo della ragazza che vanno oltre il morbo che l’ha colpita e sono legate alla madre e ai fratelli. 

Ohana. Famiglia.
Senso di appartenenza: questo è ciò di cui hanno bisogno tutti gli abitanti di Kalaupapa. 
Per fortuna in quell’angolo abbandonato che è Moloka’i Rachel conoscerà anche l’amore. Un sentimento che arriva inaspettato come il giovane che, come lei, si ritrova su quelle spiagge, tra quella vegetazione rigogliosa, in un paradiso che nasconde un piccolo inferno. Righe che faranno sorridere il lettore per la tenerezza che trasmettono.
A Kalaupapa, come ho già detto, le persone cercano di vivere una vita normale, ma c’è sempre qualcosa che non è loro concesso. 
Assieme a Kenji, infatti, Rachel sarà chiamata a un sacrificio immenso...

CONSIDERAZIONI

Un romanzo che racconta ottanta anni di vita, una storia che a tratti mi ha commosso e altri mi ha fatto sorridere, carica comunque di speranza. 
Lo stile dello scrittore è scorrevole, la descrizione di alcuni dettagli a volte è forte, ma rispondente alla realtà. 
Sono rimasta un po’ perplessa di fronte a un personaggio che ho amato: Leilani. Questa ragazza “particolare” ha dato modo di far scoprire al lettore il pensiero degli hawaiani, la loro cultura che non faceva differenze di alcun tipo. Tuttavia, considerando il tempo in cui si svolge la storia, il comportamento delle suore e dei preti mi ha messo nel dubbio: si comportavano veramente così perché tentavano di abbracciare il pensiero dei nativi oppure si tratta di un vago anacronismo? Preciso che questa è una considerazione del tutto personale che non inficia il romanzo.
Le vicende di Rachel, i dettagli che all’inizio sembrano messi tanto per, ma che hanno il loro significato, mi hanno regalato parecchi sorrisi e moti di tenerezza. Ho amato questo desiderio di appartenere a qualcosa, un’esigenza che è insita nell’essere umano e l’autore lo ha trasmesso attraverso Rachel e i suoi amici di Kalaupapa. 
Ho sofferto, invece, nel vedere come spesso il giudizio della gente ricadeva crudele sui lebbrosi, ma anche sulle loro famiglie di origine.
L’autore, usando la terza persona e lo stile del narratore, a tratti è tornato indietro nel tempo soffermandosi a raccontare della vita dei personaggi prima che giungessero a Moloka’i e questo permette al lettore di conoscere nel profondo i loro caratteri, i loro pensieri, arrivando ancora meglio al cuore. 
L’isola dei fiori rossi è una bella lettura, lunga e per nulla leggera, ma che vale la pena regalarsi perché va oltre al semplice racconto. Ognuno di noi può essere Rachel e trovare in sé la forza di prendere per le corna il proprio deprimente presente e guardare al proprio futuro con speranza. L’amore, invece, quello vero, nasce anche dove non c’è nulla, come i fiori delle spade d’argento che sbocciano raramente di cui, però, è piena l’isola di Mokola’i.
Consiglio questo romanzo a chi vuole scoprire una parte di storia di cui nessuno ha mai parlato, a chi non si impressiona, a chi adora le storie tratte da vita vera.

Buona lettura,
Lya


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