RECENSIONE "Il segreto del giardino del tè" di Janet MacLeod Trotter

Titolo: Il segreto del giardino del tè
Autrice: Janet MacLeod Trotter
Editore: Newton Compton
Genere: Romanzo Sentimentale
Formato: ebook/cartaceo
Prezzo: 0,99 €/ 8,40 €
Data pubblicazione: 13 febbraio 2020
Protagonisti: Libby Robson, Ghulam Khan
Pagine: 568




Libby arriva in India piena di aspettative, ma i tumulti e l’ostilità verso i britannici potrebbero mettere in discussione ogni certezza
Con la fine della seconda guerra mondiale, Libby Robson lascia l’Inghilterra per raggiungere la casa in cui ha trascorso l’infanzia, in India, e il suo adorato padre, James. La folgorante bellezza dell’Asia la conquista subito: il brusio vivace di Calcutta, il profumo dei giardini di Assam... Ma una terribile minaccia si nasconde dietro l’apparente bellezza e tranquillità. Il Paese è sull’orlo di una rivolta e i giorni del dominio britannico sembrano contati. In quanto proprietario di una piantagione di tè, James incarna l’odiato regime coloniale. Costretta a confrontarsi con fatti e intrighi che non immaginava, Libby mette in discussione i ricordi idealizzati della sua infanzia, specialmente dopo l’incontro con l’affascinante Ghulam Khan, che combatte per la libertà del suo popolo. Mentre le tensioni crescono, nessuno è più al sicuro. E quando i segreti del passato di suo padre verranno alla luce, Libby vedrà le proprie certezze crollare: di fronte a lei c’è una vita da ricostruire.


Buongiorno lettori, oggi vi parlo de Il segreto del giardino del tè, di Janet MacLeod Trotter edito in Italia dalla Newton Compton, un romanzo che va oltre alla bella storia d’amore tra i due protagonisti.
Come sempre parto dalla copertina. La donna ritratta, vestita in maniera elegante, rispecchia appieno la classe sociale cui appartiene: ricca, distinta, raffinata. Sembra che, seppure immersa in una rigogliosa campagna, sia voltata indietro per scrutare il passato, oppure per controllarsi alle spalle e trovo che sia molto azzeccata per le intrigate vicende raccontate in questo romanzo.
La storia comincia con un prologo ambientato in India nel 1899, quando un giovane James Robson, è costretto a compiere un gesto che lo condizionerà per una vita intera. Gli eventi poi riprendono nel 1947 a Newcastle in Inghilterra, e la protagonista Libby, figlia di James, cattura la scena.
Da subito si nota il carattere forte e determinato della giovane cui sta stretto vivere a migliaia di chilometri da quella che considera la sua casa. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, infatti, sua madre ha preferito restare con lei e i suoi due fratelli in Gran Bretagna mentre il padre è rimasto nella piantagione di tè che conduce da sempre. Neppure dopo la fine del conflitto Tilly Robson ha nutrito il desiderio di ricongiungersi al marito e ormai sono undici anni che il capofamiglia non vede i propri figli. Da qui il profondo desiderio per Libby di tornare in quella che considera in fondo al cuore casa propria: l’India.

Il romanzo permette di incrociare le vite di tanti protagonisti, alcuni dei quali ho fatto fatica a collocare in base ai diversi gradi di parentela o amicizia, tutti comunque legati all’Inghilterra e all’India coloniale che ha comunque il suo fascino.
Tra i vari personaggi l’autrice permette di conoscere soprattutto tre diverse storie: quella di Libby, da sempre infatuata di George Brewis, che a Calcutta incontra un affascinante indiano di nome Ghulam Khan; quella di sua cugina Adela e il marito Sam; quella di Tilly e James Robson.
Ognuno di essi è legato in modo differente all’India. Libby vi torna per rivedere suo padre James, Tilly invece si trova bene in città a Newcastle e non comprende la brama della figlia. Adela sceglie l’Inghilterra, lasciando la sua adorata India, soltanto perché ha un obiettivo preciso, quello che la libererà di un grave peso che ha sul cuore e l’appoggio del marito sarà fondamentale, anche se perseguire il suo scopo metterà in luce un grave pericolo.
Mi ha colpito molto scoprire la situazione politica del tempo in una India che vuole diventare indipendente e gli sforzi che gli indiani stessi hanno compiuto per renderla tale. Tra questi Ghulam Khan, carismatico e determinato leader comunista contro il quale si scontrerà Libby. Sebbene britannica, lei è a favore degli indiani, anche se molti suoi connazionali, da generazioni in India, li considerino inferiori. Un uomo come Ghulam, che è stato anche in prigione per motivi politici, non riesce a credere che un “colone”, donna per giunta, abbia idee così aperte. Lo scontro tra loro è inevitabile, ma da quello nasce anche un profondo rispetto. E non solo.
Tra i colori e i profumi di una India raccontata in maniera meravigliosa, che permette al lettore di assaporarla come se ci vivesse, si partecipa al lento riaprirsi del rapporto padre-figlia tra James e Libby, nonostante l’uomo sia sconvolto nell’intimo dal proprio passato; ma si riesce anche a comprendere le difficoltà che devono superare i britannici alla soglia dell’indipendenza. Pur avendo origini inglesi, chi è nato lì non è considerato un inglese puro. Per gli anglo-indiani la situazione è ancora peggiore: non sono considerati inglesi e neppure indiani. Dove andranno una volta ratificata l’indipendenza? 

Anche nell’India che si vuole liberare del dominatore esistono diverse fazioni: da una parte i musulmani, dall’altra gli indù e ognuno reclama una zona della futura nazione cercando di garantirsi il Punjab o il Bengala, creando il Pakistan orientale e quello occidentale. L’autrice riesce con il proprio stile a far vivere ogni momento dei cruenti scontri raccontando uno spaccato ignoto ai più. E credo che questo sia il punto di forza del romanzo. Una storia che denuncia il pensiero e le azioni del tempo, sia dal punto di vista dei britannici, sia da quello dei nativi. Il lettore, o almeno a me è accaduto, riesce a respirare la pressione di quei giorni con la stessa trepidante angoscia dei personaggi principali e nel mezzo la speranza legata alla pace che solo un uomo carismatico come Gandhi può assicurare. Forse. Di fatto questo è ciò che si augurano i protagonisti che più si trovano coinvolti: Ghulam Khan e sua sorella Fatima in primis, ma anche Libby che vuole a ogni costo aiutare in una Calcutta sempre più assalita da profughi in fuga per colpa dei continui scontri. Una Libby che preferisce abbandonare le zone pressoché calme e serene in cui è cresciuta: le piantagioni nell’Assam.
Se da un lato ho letto questo romanzo trattenendo il fiato per gli eventi che vedono protagonista l’affascinante Ghulam e la dolce e determinata Libby con la loro storia intensa, dall’altro ho avuto molto da riflettere. L’autrice mette in luce quanti sono gli errori che si possono commettere seguendo un obiettivo in maniera ossessiva senza guardare ciò che ci circonda, e come sia semplice a volte idealizzare una persona o un luogo vedendolo migliore di ciò che sia in realtà; punta l’attenzione sui rapporti che inevitabilmente si sgretolano con le distanze (e non solo chilometriche), ma anche il modo in cui i sentimenti possono aiutare nelle grandi scelte; evidenzia quanto per essere utili non sia necessaria chissà quale preparazione o studio. 

In un’epoca di grandi cambiamenti in cui le persone bisognose sono troppe, aprire le porte della propria casa fuori da ogni razzismo e da ogni restrizione mentale o di casta, è l’unica strada per raggiungere un comune obiettivo di pace e convivenza.
Nonostante in alcuni tratti l’editing, non imputabile alla Newton che ha solo tradotto, lasci a desiderare, ho amato questo romanzo tanto da non volerlo lasciar andare.

Un romanzo che mi ha raccontato cosa hanno vissuto gli indiani considerati niente dai britannici, cosa pensavano quelli che negli inglesi hanno, invece, trovato accoglienza e quasi parità, come si sentivano le persone nate e cresciute lì da generazioni di fronte all’improvviso cambiamento. Un romanzo che ho vissuto divorando le pagine fino alla rivelazione del segreto che nasconde James, e che va oltre le storie d’amore raccontate (non limitandosi a quella di Libby e del fascinoso Ghulam, della quale non mi sarei mai stancata).
Mi ha colpito che l’autrice abbia chiesto scusa, quale discendente britannica, al popolo indiano e da dove abbia preso tutti i riferimenti per il suo testo.
Una lettura che mi sento di consigliare a chi ha l’animo romantico, a chi desidera qualcosa in più anche da pagine di svago, a chi vuole scoprire dettagli che di norma non vengono raccontati dai libri, a chi ama la Storia immergendosi in profumi e colori davvero esotici.
Una gran bella lettura che non dovete perdere.

Lya

Commenti

Post popolari in questo blog

RECENSIONE "Deviant" di Ellie B. Luin

REVIEW TOUR - RECENSIONE "Jaded" di Robin C.

RECENSIONE - Il narratore di storie, di Rita Nardi

RECENSIONE - La sposa gitana, di Carmen Mola

RECENSIONE - La piccinina, di Silvia Montemurro