RELEASE BLITZ di "Traveling Love" di Antonella Maggio + Il 1 Capitolo.


Titolo: Traveling love
Autore: Antonella Maggio
Editore: Darcy edizioni
Genere: Commedia romantica
Pagine: 250
Data d’uscita: 1 agosto
Costo:  2,99€ ebook -  14 € cartaceo -
in offerta lancio per il pre-order e il 1 agosto a 1,99 €
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Adele Castelli ha quasi trent’anni e una costellazione di fallimenti alle spalle. Divorziata, disoccupata e con una famiglia che si accanisce contro i suoi errori, l’unica salvezza di Adele è quella di fare la valigia e accettare il lavoro che le hanno offerto in Australia, sperando che dall’altra parte del mondo possa finalmente far fortuna e trovare l’amore con qualche straniero che le faccia dimenticare quanto siano sbagliati gli uomini italiani.
Luca Accardi lavora per una multinazionale ed è felicemente single. Cambia residenza e donna senza problemi ogni volta che ha un ingaggio nuovo. La carriera viene sempre prima di tutto, anche prima di se stesso, prima della felicità che non riesce mai a toccare con mano.
Luca e Adele, a quanto pare, sono gli unici italiani che lavorano per conto della K-Byte Entreprise di Sydney.
Il mondo appare davvero troppo piccolo se a 16.216 km dall’Italia Adele finirà per incontrare proprio quello da cui scappava…



CAPITOLO 1
Adele


Palermo - Un anno prima.

Rientro a casa con lo sguardo affranto, sono stanca, svuotata anche dell’ultimo goccio di speranza e positività che mi restava prima di uscire; poi guardo il mio riflesso sulla porta di vetro del palazzo dove abito e il mio viso si incupisce. 
Ma sono io? Mi sono ridotta davvero in questo stato? Con una mano sposto una ciocca di capelli fragili e opachi dietro l’orecchio, fingendo di non notare le prime rughe che mi increspano la fronte tesa. 
Quando nell’abitazione dei miei genitori è pervenuta quella lettera indirizzata a me, il cui mittente era il Centro per l’Impiego di Palermo, per poco non sono svenuta, anzi, ho corso sul serio il rischio di restare strozzata con un pezzo di mela, che avevo addentato per sopperire alla fame nervosa ed evitare di rimpinzarmi di patatine. In quel momento non c’era nessuno in casa, neppure mia madre che, con prontezza, avrebbe improvvisato la manovra di Heimlich. Sarei morta senza nemmeno passare alla storia come la Biancaneve del nuovo millennio. No, perché per essere una principessa bisogna rispettare alcuni requisiti e la prima condizione in assoluto è quella di avere un principe che funge da angelo custode, pronto a intervenire per salvare la propria amata da un pezzo di mela andato di traverso o dalle grinfie di un drago sputafuoco messo a protezione di un castello. 
Si dà il caso che io sia un po’ atea, ho una fede tutta mia, credo un po’ in base ai periodi, ma con certezza non credo nell’esistenza del principe azzurro, di Cupido, del colpo di fulmine… Insomma, non credo negli uomini. Però davanti a quella missiva con il timbro del Comune in bella vista, ho creduto davvero che qualcuno si fosse ricordato di me o che magari Santa Rosalia mi avesse fatto la grazia trovandomi, dall’oggi al domani, un posto di lavoro. Dopotutto è quello che ho chiesto alla Santa l’ultima volta che mi sono recata in chiesa per il trigesimo della prozia di mio padre. Sì, mentre il prete decantava le gesta di una donna d’altri tempi di cui non ricordo nemmeno il volto, ho fatto esplicitamente richiesta di un lavoro, di una casa tutta mia, di ostacolare l’insorgere della pelle a buccia d’arancia sulle cosce, di mantenere a distanza di almeno un chilometro tutte le specie viventi di sesso maschile. Se questi desideri fossero difficili da realizzare, mi accontenterei di un po’ di serenità, solo di quella, perché ho ventinove anni, sono disoccupata in un periodo storico che, senza dubbio, lascerà il segno nella storia e tra qualche decennio, gli studenti tra i banchi di scuola saranno costretti a studiare di noi poveri laureati del ventunesimo secolo e di come ciondoliamo dentro casa di mamma e papà dalla mattina alla sera, usufruendo a sbafo della connessione internet del vicino che ha dimenticato di impostare la password. 
Io, però, non sono una ragazza come tutte le altre e, nonostante la mia giovane età, posso già vantare più di un fallimento alle spalle. Quello più significativo? Aver divorziato oppure aver sposato Sante o Santuzzo, come lo chiamano sempre mia madre e mia nonna. 
Ma come mi è venuto in mente di sposare un uomo con un nome del genere? Per non parlare poi delle valigie riempite alla bell’e meglio per allontanarmi da quello svitato e ritornare nella casa dove sono nata e cresciuta. 
Non esiste cosa peggiore nella vita di regredire alle origini. Sbatto la porta d’ingresso e penso a come mi sono ridotta nell’ultimo periodo. 
In fondo non c’è nulla di male a tornare a casa di mamma e papà, anzi, il calore e l’affetto della famiglia rappresentano un vero toccasana, ma per chi ha già provato l’ebbrezza dell’indipendenza economica, di una casa propria da arredare e curare, diventa poi difficile condividere un tetto con qualcun altro che non sia un marito egoista che lascia sempre la tavoletta del water alzata. Molto spesso poi, i genitori sembrano dimenticare che i propri figli sono diventati ormai adulti. Non capiscono che la nuova generazione non ammette più i controlli furtivi di una madre impicciona che annusa i vestiti per cercare l’odore di estranei o di fumo, legge diari segreti di nascosto o cerca pasticche di ecstasy nelle borse.  
La raccomandata, poi, non era che un invito a presentarmi ai fini di un colloquio presso il Centro per l’Impiego che, da un paio di anni a questa parte, non riesce più a trovare lavoro né ai giovani né agli adulti rimasti senza occupazione dopo il fallimento dell’ennesima azienda. 
«Delà, siamo nei guai!»
Per mia sorella Carmen sono Delà e non Adele. Il mio nome è stato la sua prima parola ed è rimasto invariato nel tempo, anche se adesso lei ha diciotto anni ed è bellissima con i suoi tratti tipici di donna mediterranea, bruna e con un fisico da modella che io posso solo sognarmi assieme alla carnagione olivastra in netto contrasto con il mio pallidume.
«Che succede?» le chiedo, mentre mi accascio sul divano di pelle marrone. Sono stanca, sia fisicamente che mentalmente, e tutto per colpa di quei quattro idioti che fingevano di lavorare dietro le vecchie e intarlate scrivanie di un ufficio pubblico. 
«Che succede? Mamma e papà sono andati a prendere nonna Rosalia.»
All’istante sollevo il braccio con il quale mi sono coperta il volto e strabuzzo gli occhi. Nonna Rosalia è forse anche peggio di tutta la mia famiglia messa insieme, del mio ex marito e di tutti i problemi che posso avere in questo momento. 
La porta d’ingresso si apre e noi riconosciamo subito il suono fastidioso delle rotelline montate sotto il girello che nonna Rosalia utilizza per muoversi. 
«Siamo tornati! Ragazze, c’è la nonna, venite a salutarla!»
La voce del babbo risuona in tutta la casa. Sembra l’unico a essere su di giri per l’arrivo della sua cara e cinica mammina, nostra madre al contrario non ha mai provato troppa simpatia per la suocera e puntualmente non vede l’ora che la vecchia vada via. 
Mi sento più scoraggiata di prima, mi sollevo dal divano e afferro Carmen per un braccio. Andare a salutare la nonna è un suicidio, ma con mia sorella accanto sento di potercela fare, di riuscire a resistere almeno fino a che non andrà via.
«Ciao nonna!» esclamiamo nello stesso istante stampando sul viso uno dei sorrisi più finti mai esistiti in tutta la storia dei sorrisi. 
La nonna, con i capelli bianchi raccolti dietro la nuca in un perfetto chignon, si ferma e pianta per bene il girello sul pavimento; stringe forte le sue mani rugose sull’attrezzo che l’aiuta a deambulare e la stretta è tanto forte che le nocche le diventano bianche. Solleva il viso e da sotto le spesse lenti ci squadra dalla testa fino alla punta dei piedi. La sua attenzione all’inizio è tutta per Carmen, sembra farle una scansione e quando appura che mia sorella è semplicemente perfetta, anzi identica a lei quando era giovane, come ama sempre dire, passa a scansionare me. Il sorriso, che qualche attimo prima era apparso sul suo viso rugoso, si spegne all’istante. Lo sguardo si fa truce, arcigno e la mia schiena è percorsa dai brividi. 
«Adele, ti trovo ingrassata.»
«Ehm… Sì, nonna. Ho messo su qualche chilo nell’ultimo periodo.» Biascico una risposta e mi sforzo di mantenere la calma. 
Lo so di non essere in ottima forma, ma al momento il peso è l’ultimo dei miei pensieri e non ho bisogno che gli altri mi stiano con il fiato sul collo a ricordarmi di essere un disastro in tutto, persino nell’aspetto estetico. La verità è che molto spesso mi concedo un cioccolatino in più per far fronte alla carenza d’affetto e poi, a dirla tutta, in questo momento, tra tutte le priorità non figura un uomo a cui piacere.
«Ti sei sempre trascurata! Forse è per questo che Santuzzo t’ha lasciata.»
Le parole di nonna Rosalia mi colpiscono in pieno viso come uno schiaffo e fanno male. Non ho mai capito perché ce l’abbia tanto con me, io ho sempre cercato di trattarla con indifferenza e di non dare peso alle cattiverie che escono in maniera gratuita dalla sua bocca, ma è sempre tutto inutile. Sembra quasi che la mia cara e adorata nonnina lo faccia apposta, che cerchi in tutti i modi di provocarmi.
«A dire il vero sono stata io a lasciare Sante» affermo con coraggio, per proteggere quel poco di dignità che mi resta.
«L’avrebbe fatto comunque lui» risponde a tono, senza mai pesare le parole.
La vecchina continua a punzecchiarmi e il pranzo è il suo momento preferito, forse perché il suo fine è quello di uccidermi e farmi andare di traverso le arancine preparate da mia madre. Fingo di non vederla, impongo al mio cervello di chiudere le orecchie e non ascoltare ciò che dice e gioco con le posate, maltrattando gli alimenti nel piatto, proprio come fanno i bambini durante i lunghi e noiosi pranzi di famiglia. 
«A trent’anni hai già un matrimonio fallito alle spalle e neppure un figlio! Chi vuoi che ti prenda più?» domanda senza aspettarsi una risposta. «Non ricevi neppure un assegno di mantenimento dal tuo ex marito e, come se non bastasse, ti fai ancora mantenere dai tuoi genitori» continua senza esitazione, senza neppure riprendere fiato e io spero che qualcuno glielo tolga in maniera definitiva questo dannato respiro. Sempre con la storia di questo assegno di mantenimento, non ne posso più! Avevo così tanta fretta di chiudere la storia con Santuzzo che non ho chiesto neppure un centesimo, l’importante era che me lo levassero di torno, lui e la sua ingombrante famiglia sempre in mezzo ai piedi. Non si poteva fare un passo che toccava chiedere consiglio a mamma e babbo… E come cucina mamma, e come stira mamma, e come pulisce mamma. Era un disco rotto con sua madre e tutte le sue infinite qualità. Non mi ero sposata Sante, ma tutta la famiglia!
«Eh no! Adesso basta! Mi avete rotto seriamente le palle! Io non vi sopporto più!» urlo e sbatto i pugni sul tavolo. Guardo tutti i commensali e li mando allegramente a quel paese, poi mi alzo e corro in camera mia, seguita a ruota da Carmen.
Afferro un trolley, lo stesso utilizzato un anno fa per riportare la mia roba a casa dei miei genitori e comincio a riempirlo con i miei vestiti e con la poca roba in mio possesso. 
«Delà, dove credi di andare?»
«Me ne vado a Sydney!»
Quando questa mattina sono arrivata al Centro per l’Impiego, per poco non sono scoppiata a ridere in faccia al vecchio signore che mi ha comunicato la possibilità di un lavoro in Australia, anche se quella risata era per lo più isterica. Un lavoro dall’altra parte del mondo senza neppure un colloquio?
 “In fin dei conti si tratta di fare la lavapiatti a un fast food, non ci vuole una laurea!” ha esordito l’impiegato davanti alla mia faccia perplessa.
Come se possa essere fattibile trasferirsi così dalla mattina alla sera in Australia, mi sono detta, ma dopo questo dannato pranzo con la nonna, la possibilità di fare i bagagli e andare via da casa definitivamente sembra molto più fattibile di quanto mi sarei mai immaginata. 


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